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mercoledì 1 dicembre 2010

Università: la Riforma che non riforma

Il provvedimento che ieri è stato approvato a Montecitorio, è un provvedimento inutile poiché vuoto di contenuti. Sotto la falsa promessa di una riforma si nasconde, in realtà, una leggina di facciata che non rinnova, anzi peggiora un settore – quello dell’università italiana – che sta già affrontando un momento difficilissimo poiché vittima di tagli sproporzionati ed ingiustificati.
Valorizzare il merito, era la parola d’ordine con la quale la Gelmini aveva mosso i suoi primi passi nel formulare la riforma universitaria che avrebbe portato il suo nome. E come si fa a non essere d’accordo con un obiettivo del genere? Eppure, nei fatti e nei contenuti, nulla è stato fatto: solo parole, ripensamenti ed imbarazzanti dietrofront su un provvedimento che non è stato mai sostenuto dal Ministro dell’Economia Tremonti.
Eppure l’Università italiana è l’ultima in Europa; in Italia il rapporto tra il numero degli studenti e quello dei docenti è pari a 21/1 contro il 16/1 della media europea. L’Italia investe solo l’1% del PIL nella ricerca, a differenza di Francia e Germania, che investono il triplo. L’Italia ha la classe docente più vecchia d’Europa, con il 54% dei docenti di ruolo che supera i 50 anni di età, contro il 29% della Germania e il 30% del Regno Unito. Da questi dati si comprende che una vera riforma dell’università era più che necessaria, ma richiedeva un atto di coraggio e responsabilità che questo Governo non ha avuto.
Una vera riforma, avrebbe dovuto avere come principio ispiratore e come primo obiettivo la selezione trasparente ed imparziale del personale docente, che avrebbe garantito il futuro dell’università e dato speranza ai più meritevoli; come secondo obiettivo la lotta alle baronie universitarie che da anni perseguono quel familismo, quel nepotismo e quell’amantismo - mi sia consentito il neologismo- che soffocano le aspettative dei nostri ragazzi e dei nostri figli: una lobby di anzianotti seduti comodamente sul proprio trono da decenni, invalutati e invalutabili, praticamente intoccabili e che condizionano – come vediamo da questo testo di legge – perfino le decisioni dei Governi. Infine, ma non certo per importanza, una vera riforma universitaria avrebbe dovuto investire nella ricerca. Ed invece nulla di tutto ciò. Questa pseudoriforma mantiene le cosiddette responsabilità locali e cioè i concorsi, le valutazioni dei candidati nelle varie sedi universitarie, introducendo soltanto l’abilitazione nazionale, che è cosa diversa da quella graduatoria unica nazionale che avremmo tanto auspicato e dalla quale tutti gli atenei avrebbero dovuto necessariamente attingere per colmare i posti resisi vacanti. E’ stata, di fatto, soppressa la comparazione dei candidati, come avviene nel resto del mondo. Non è certo così che verrà stroncato il nepotismo e nelle nostre università si perpetueranno, ancora per molti anni, gli stessi cognomi.
Nel testo approvato in Aula sono stati cancellati, di fatto, – poiché al momento manca la copertura finanziaria – i concorsi per professore associato, gli scatti di anzianità per i ricercatori, le borse di studio e i finanziamenti per gli alloggi destinati agli studenti meno abbienti.
Come ha giustamente dichiarato a Montecitorio Antonio Di Pietro, il ministro Gelmini è un Ministro azzoppato poiché tutti i poteri sono stati conferiti, per il futuro dei nostri atenei, al Ministro dell’Economia, che di fatto ha commissariato il suo dicastero, oltre che quello della sanità.
La cultura non si mangia, è vero, ma nella cultura bisogna investire per la crescita sociale, economica e morale del Paese. Chiudere la porta in faccia ai nostri giovani vuol dire negare all’Italia la possibilità di crescere e competere con il resto del mondo. E’ necessario cambiare le regole ed investire per i nostri giovani, per i ricercatori, per gli studenti, altrimenti il decadimento della società sarà inevitabile. Per essere competitivi, in un mondo sempre più globalizzato, occorre investire nell’Università come hanno fatto la Francia (con 5 Mld di euro in 5 anni) e la Germania (con 1 Mld e 800 milioni di euro in 2 anni) poiché l’università pubblica ha il dovere di creare conoscenza oltre che trasmetterla.
Ma in Italia il Ministro Tremonti, il Ministro Gelmini e il Presidente del Consiglio sono poco sensibili a questa materia e nell’ultima finanziaria hanno tagliato fondi per 1 MLD e 355 milioni di euro.
Ovviamente, le scarse risorse residue non basteranno mai a garantire la progressione di carriera e i concorsi ai nostri ricercatori più meritevoli. Ricercatori che, sono al secondo posto tra i Paesi OCSE, dopo quelli della Gran Bretagna, per indice di citazione dei lavori scientifici. Eppure l’Italia annovera solo 2 ricercatori su 1000 lavoratori a differenza di USA, Giappone e Svezia che ne hanno 6 per 1000 e ciò vuol dire che sono particolarmente bravi. La riforma, pertanto, avrebbe dovuto valorizzare tali eccellenze, ma non lo ha fatto. L’Italia dei Valori ritiene che i ricercatori più qualificati, per i quali lo Stato ha investito fior di quattrini, che sono i veri nostri ambasciatori della cultura, che danno lustro al nostro Paese all’estero debbano almeno avere il giusto e meritato riconoscimento del lavoro svolto. Non chiediamo per loro alcun privilegio, ma soltanto giustizia!
Il Ministro Gelmini si è attribuita una riforma epocale, ma non è intervenuta neanche sulle modifiche più elementari, quelle a costo zero, come la messa in quiescenza dei professori universitari che avremmo auspicato all’età di 65 o 68 anni. E invece rimarrà intatto il vetusto sistema gerontocratico dei settantenni che soffocherà l’inserimento dei giovani talenti nostrani, che continueranno a fuggire all’estero. Il Ministro Gelmini, dopo il suo assordante stalking mediatico, ha partorito un provvedimento malformato, un obbrobrio legislativo che si è genuflesso alle baronie universitarie e ha colpito, come sempre, l’anello più debole del sistema: i nostri ragazzi a cui ha tolto la speranza di un futuro più giusto.
Una vera riforma universitaria avrebbe dovuto dare speranza a tutti, dignità al sacrificio e gratificazione al merito.

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