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martedì 17 febbraio 2009

La mia sul testamento biologico




La legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento necessita, in un momento come questo, di una profonda riflessione poiché, come in tutti i casi accompagnati da un grande clamore mediatico e da tanta partecipazione umana, c’è il rischio, più che concreto, di un provvedimento emotivo, ingiusto e restrittivo.
È innegabile lo scontro in atto tra i sostenitori del valore della vita umana, inteso come dogma indisponibile, perfino al suo titolare, ed il valore dell’autonomia della persona, che rivendica il diritto alle proprie scelte.
Il primo è un concetto religioso, che conferisce alla vita un valore speciale in sé, inviolabile ed indipendente dalla sua stessa qualità, una sacralità, non da tutti riconosciuta, che va dal concepimento alla morte naturale, anche se risulta complesso, oggi, definire il concetto di morte naturale. Il valore dell’autonomia della persona è, invece, un concetto laico basato sulla libertà di scelta e sul valore della dignità dell’uomo. Concordo con chi ritiene la dignità una sorta di cenestesi dello spirito: non ti accorgi di averla finché non ti viene sottratta o intaccata.
Gran parte delle persone vive in funzione della propria dignità e sono le nostre azioni quotidiane che contribuiscono a formare la nostra dignità. La dignità è un valore personale, costruito, conquistato, che non può essere tramandato o insegnato. Così anche la dignità nel morire dipende dal senso di dignità che abbiamo dato alla nostra vita. Se un uomo, dopo aver costruito per tutta la sua esistenza un’immagine di sé da far apprezzare ed amare a colleghi, parenti, amici, si ritrova improvvisamente catapultato nel tunnel della malattia e vede la sua vita ridotta ad un corpo adagiato su un letto, un corpo che non è più in grado di fare e nemmeno di chiedere, un corpo che ha perso qualsiasi contatto con quell’esistenza che aveva costruito intorno a sé, quell’uomo insomma, avrà il diritto di evitare che amici, familiari o colleghi lo vedano in questa terribile condizione, di cui egli stesso si vergogna? Quell’uomo avrà o no il diritto di morire con la stessa dignità con la quale ha deciso di vivere?
Ebbene, i sostenitori della sacralità della vita, vogliono imporre la loro verità in nome di un dio al quale non è obbligatorio credere, in una società fatta anche di non credenti o di diversamente credenti. Vogliono proibire, per legge, la possibilità di morire con dignità e più rapidamente, così come fino ad oggi potrebbe avvenire.

E’ innegabile che l’attualità conquistata dal tema “testamento biologico” dipenda dai progressi della medicina e dei suoi presidi tecnologici, che determinano un prolungamento artificiale della vita, attraverso macchinari che suppliscono alle funzioni vitali di organi oramai distrutti o non più attivi. Un tempo la morte arrivava rapidamente poiché non si era in grado di contrastare le complicanze delle malattie. Non c’erano gli antibiotici, non c’erano i respiratori artificiali, solo per dirne una. Oggi invece, per prolungare quella che si ritiene sia vita, nei reparti di terapia intensiva si attua il cosiddetto “vitalismo medico”, una dottrina che non ha a cuore la salute del malato, ma la vita in sé, a prescindere dalla sua qualità. E allora, a questo punto, mi chiedo: è lecito posticipare artificialmente la morte? E’ lecito, in uno Stato che si dichiara laico, imporre una visione così di parte della vita?
In vicende come quella di Eluana Englaro, la politica, ancora una volta, anziché affidarsi alla scienza medica, primeggia in un’approssimazione che sfocia spesso nell’ignoranza: il Ministro Sacconi e il Sottosegretario Roccella hanno addirittura invocato il rispetto della convenzione ONU per i disabili! Ma la povera Eluana non era affatto disabile, purtroppo era in uno stato vegetativo irreversibile!
La nostra veste di legislatori, impone che è nostro preciso dovere imparare i termini scientifici e soprattutto imparare ad usarli in modo appropriato. E se poi non siamo padroni della materia, dovremmo rivolgerci alla scienza medica e chiedere aiuto. Ad esempio, non è appropriato parlare di “sofferenza” riferendosi a soggetti che non hanno “anatomicamente” la capacità della percezione corticale. Lo stato vegetativo, infatti, si caratterizza per una involuzione atrofico-degenerativa della corteccia cerebrale, con perdita di qualsiasi funzione superiore (la parola, il dolore, le emozioni, la fame, la sete…). E’ necessario definire criteri certi di danno cerebrale irreversibile, di coma vegetativo persistente, basandosi su presupposti scientifici certi ed incontestabili, piuttosto che politici ed approssimativi. Il coma vegetativo, un tempo definito sindrome apallica, è una condizione post-comatosa dovuta ad una lesione traumatica del cervello o che può verificarsi dopo un’emorragia, un tumore, un’ischemia o anche un’infezione, e che ha un quadro clinico ben definito: al malato manca totalmente la coscienza di sé e dell’ambiente che lo circonda, pur conservando alcuni movimenti involontari degli arti o degli occhi. Un precedente eccellente al caso Englaro, si è avuto negli USA, nel 2005: Terry Schiavo, una donna in stato vegetativo da 15 anni e deceduta per disidratazione estrema, dimostrò, in corso di autopsia che il cervello pesava la metà di quanto avrebbe dovuto.

Il nuovo ddl presentato dal Popolo della Libertà, sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, a mio avviso non tiene conto che il tema della morte o della scelta di come morire (quando ci è dato di poter scegliere) è un tema che dovrebbe accomunare tutti, senza distinzioni politiche o religiose, e che riguarda la libertà individuale di ciascun cittadino. Ognuno ha il diritto di scegliere per sé, sempre ed in tutti i campi, da quello religioso, al testamento biologico, alla donazione di organi, alla procreazione assistita, ma, fra questo effimero tentativo di legge e nessuna legge, preferiamo nessuna legge. Oggi la decisione di come e quando prolungare artificialmente una malattia con danno cerebrale grave ad andamento irreversibile è discrezionale e sta nelle mani del medico. La politica vuole farla propria! E’ necessario che i cittadini si riapproprino di un loro diritto di stabilire fino a quando proseguire le cure mediche, idratazione ed alimentazione artificiali incluse. Oggi, infatti, siamo noi a decidere o lo sono i medici, insieme ai nostri cari, che in scienza e coscienza valutano, caso per caso, ciò che è più sensato fare. Nella discrezione che una tale situazione richiede e nel rispetto più che sacrosanto. Finora il vuoto legislativo è stato giustificato dall’impossibilità di disciplinare in modo adeguato una miriade di situazioni patologiche estreme che avevano come caratteristica comune l’unicità e l’irripetibilità. Solo definendo con criteri scientifici le condizioni del malato terminale irreversibile sarà possibile una legge equa e rispettosa delle volontà dei singoli cittadini. Ma nel testo Calabrò (primo firmatario della proposta di legge sul testamento biologico del PDL), a mio avviso, è rispetto per la persona che viene a mancare: il rispetto richiede l’umiltà di non ritenersi i detentori della verità, una presunzione violenta, intollerante ed arrogante. E’ dalla mancanza di rispetto, infatti, che nasce il fondamentalismo, con le conseguenze che noi tutti conosciamo, pur attribuendo nella maggior parte dei caso una connotazione negativa solo alla verità che riteniamo più lontana dalla nostra, non facendoci venire mai il dubbio che forse ad essere sbagliato è il nostro credo e non un altro.

Questa legge sul testamento biologico sancisce la fine definitiva della laicità del nostro Paese. E’ la resa incondizionata allo strapotere di una parte, di una voce su tutte le altre, dimenticando che lo Stato è laico per statuto perché composto da credenti, non credenti e diversamente credenti.

Il ddl presentato al Senato non tiene assolutamente conto delle volontà dei cittadini, che non possono sancire i limiti del trattamento, ma anticiparne solo un generico indirizzo. Ed allora è lecito chiedersi: era necessaria una legge? Domani potrebbe verificarsi lo scenario che un tale - nelle dichiarazioni anticipate di trattamento - palesi il rifiuto di sottoporsi ad un intervento atto ad inserirgli un sondino nello stomaco, attraverso il quale somministrare liquidi e nutrimenti su indicazione medica e il medico dovrebbe, incostituzionalmente, sottoporlo a trattamento obbligatorio, pena una denuncia di omissione di soccorso, se non addirittura di omicidio colposo.
E considerando che i casi come Eluana Englaro sono, in Italia, circa 3.000, lo scenario che si potrà configurare per il futuro, sarà quello di un aumento del contenzioso fra famigliari e medici, che non vorranno rispettare le volontà dell’ammalato. E saranno, ancora una volta, i giudici a decidere.

Il testo del ddl che questa maggioranza ci sta imponendo, ancora una volta, meritava un’attenta e lunga discussione trasversale fra tutte le parti politiche. Questa legge è tutto, tranne un testamento biologico, poiché ci viene impedito, di fatto, di rinunciare all’idratazione e alla nutrizione, poiché sostegno vitale e non prestazioni mediche. Ed allora, chi dovesse ritenere che non sarebbe il caso di vegetare per uno, 10 o 17 anni, come per la povera Eluana, tenuta in vita da un’alimentazione forzata, sarà costretto da oggi in poi – per legge- a subire questo trattamento.
Oggi, di fatto, è ancora possibile, perché l’art. 32 della Costituzione ce lo consente, ve lo consente. Domani, invece, la legge che avete voluto, ce lo vieterà, ve lo vieterà.

Credo nel diritto alla vita, ma sono anche per una morte dignitosa. Davanti ad una condizione d’irreversibilità del coma ciascun individuo dovrebbe poter scegliere se vegetare in un letto, attaccato ad un respiratore o a un sondino naso-gastrico, o invece optare per una morte senza vergogna. L’articolo 32 della Costituzione tutela tale diritto e la legge che si accingono a varare non può prescindere dalla Costituzione. Viva la Costituzione, viva la libertà di scelta!

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